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Canzoni Popolari Milanesi

Canzoni Milanesi d’Autore

Traduzioni di Georges Brassens

 

Canzoni Popolari Milanesi

 

*  La Guerra

*  I Mestieri

*  La Mala

*  L’Osteria

*  Ballate e storie d’amore

*  Ninne Nanne e canti dei bambini

*  Filastrocche e conte

 

 

 

La Guerra

 

La bella Gigogin

 

  Canzone patriottica del Risorgimento Italiano, celebre in tutto il Nord Italia. Il testo è composto da un miscuglio di strofe popolari adattate alla musica dal maestro milanese Paolo Giorza nel 1858. Il contenuto è fortemente anti-austriaco. La prima parte del testo è probabilmente successiva all’ unificazione d’Italia: l’esortazione alle armi e alla Bandiera è infatti troppo esplicita perchè potesse venir tollerata con facilità dalla censura austriaca:

 

Rataplàn, tambur io sento

Che mi chiama alla bandiera

O che gioia o che contento

Io vado a guerreggiar.

 

Rataplàn, non ho paura

Delle bombe e dei cannoni

Io vado alla ventura

Sarà poi quel che sarà.

 

  Nella seconda parte segue il ritornello, che rappresenta, dal punto di vista musicale, il momento più orecchiabile e, probabilmente, più coinvolgente per il pubblico. Il contenuto patriottico, più velato, prende forma nell’invito al matrimonio - daghela avanti un passo – tra i due innamorati rivolto da Lei - la “malata” Lombardia - stufa di esser costretta a “mangiar polenta”( metaforico riferimento al colore giallo della bandiera austriaca), dopo i fallimenti del ’48, a un lui, implicitamente il sovrano di Piemonte Vittorio Emanuele II, il quale esitava nell’intervento di alleanza con Napoleone III. Gigogin, infattii, è diminutivo piemontese per Teresina:

 

E la bella Gigogin

col tremille-lerillellera

La va a spass col so spingin

Col tremille-relillellà.

 

Di quindici anni facevo all’amore

Daghela avanti un passo

Delizia del mio cuore.

A sedici anni ho preso marito

Daghela avanti un passo

Delizia del mio cuore.

A diciassette mi sono spartita

Daghela avanti un passo

Delizia del mio cuor.

 

La ven, la ven, la ven a la finestra

L’è tutta, l’è tutta, l’è tutta insipriada

La dis, la dis, la dis che l’è malada

Per non, per non, per non mangiar polenta

Bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza

Lassala, lassala, lassala maridà.

 

  Il finale è anch’esso probabilmente successivo, non sembra aver un qualche riferimento patriottico, se non nell’esito felice dell’avvenuto matrimonio tra i due innamorati.

 

Le bacia, le baciai il bel visetto

Cium, cium, cium

La mi disse, la mi disse oh che diletto !

Cium, cium, cium

La più in basso, la più in basso c’è un boschetto

Cium, cium, cium

La ci andremo, la ci andremo a riposar.

 

Ta-ra-ta-ta-ta-tam.

 

  Si tramanda che questa canzone venne suonata per la prima volta la sera di San Silvestro, il 31 dicembre, del 1858, al teatro Carcano di Milano, nella notte in cui si festeggia per tradizione il cominciamento del nuovo anno, che poi sarà - il 1859 - quello della riuscita e definitiva unificazione dell’Italia. C’era una strana atmosfera, si dice, quella sera. Chi era già stato informato aspettava impazientemente che arrivasse la mezzanotte, chi ancora no, capiva che qualcosa stava per accadere nella sala gremita del teatro: Il vecchio anno era ormai quasi passato, un nuovo tempo stava per cominciare... Quando la Banda Civica, diretta dal maestro Gustavo Rossari, attaccò a suonare le note di quella PolKa, il pubblico comprese subito l’implicito messaggio contenuto:

 

Per non, per non, per non mangiar polenta

Bisogna, bisogna, bisogna aver pazienza

Lassala, lassala, lassala maridà.

 

Occorreva aver pazienza e attendere il consolidamento dell’alleanza tra Vittorio Emanuele II e Napoleone III per poter marciare – daghela avanti on passo – insieme contro gli austriaci.

La Banda dovette ripeterla per ben otto volte, poiché la gente, insofferente della dominazione straniera, non smetteva di applaudire e cantarne il ritornello. Così alle quattro del mattino di quel capodanno 1859 quando la Banda si recò davanti al palazzo del viceré austriaco per il consueto omaggio d’inizio anno, una nutrita folla aveva seguito i musicistì e accompagnò col canto, quasi in un gesto di sfida e di ammonimento alle autorità austriache, l’esecuzione del ritornello della canzone.

Gli austriaci forse non si avvidero delle allusioni contenute nel testo contro di loro. O forse sì, e fu per spegnere gli entusiasmi del popolo che la musica de “La bella Gigogin” venne adottata anche dalle loro bande musicali. Ma il successo e la popolarità del brano intanto crebbero a tal punto che il giorno della celebre battaglia di Magenta tra francesi e austriaci, questi diedero l’attacco suonando le musica de “La bella Gigogin” e gli altri risposero con le medesime note.

 

Oggi nelle osterie di Milano si canta ancora questa canzone che, a ben vedere, potrebbe considerarsi l’unico vero Inno d’Italia, poiché fu l’unica canzone patriottica italiana ad aver avuto e ad avere tuttora una dimensione popolare viva e che sia stata significativa per il Risorgimento italiano. Questo a differenza dell’ Inno di Mameli che tutt’ora resta ignoto e incompreso alla stragrande maggioranza degli italiani, discutibile nel testo e nella musica e che non ha mai avuto alcun legame di valore con gli avvenimenti che portarono all’ Unità d’Italia.

 

Nell’ Esercito Italiano, il corpo dei Bersaglieri ha acquisito “La Bella Gigogin” quale canzone ufficiale, ed essa viene tuttora cantata dai soldati durante le esercitazioni e i Giuramenti.

 

 

 

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